Per il suo debutto alla regia Wes Ball, dopo una vita trascorsa nel reparto effetti speciali, si affida al bestseller di James Dashner e lo connota visivamente in base alla propria onnivora cinefilia. Etica e estetica da videogame alla Cube con mostri mutuati da Doom, uno spirito da naufraghi alla Lost, una nuova micro-civiltà di ragazzi come ne Il signore delle mosche e il neo-paganesimo da medioevo prossimo venturo di Zardoz centrifugati in salsa Young Adult e asserviti alle esigenze della serialità odierna. Senza dimenticare The Village di Shyamalan, forse la più forte delle influenze: anche qui infatti assistiamo a un'utopia di non violenza ricreata in vitro, all'illusione di un eden menzognero, fondato sulla paura di oltrepassarne i confini. La sicurezza della famiglia-comunità come punto di arresto dell'evoluzione di una società. Capire che con The Maze Runner ci troviamo di fronte al tentativo di un nuovo franchise è ovvio almeno quanto risolvere il rompicapo del labirinto e soprattutto di quel che si cela dall'"altra parte", dove anziché il Minotauro si trovano piuttosto Minosse e la sua corte di intrighi. Ma nonostante i difetti, talora puerili, è impossibile negare a The Maze Runner una piccola vittoria. La forza dell'intreccio ha infine la meglio e si dimostra sufficiente, anche da sola e per nulla supportata dal cast e dalla colonna sonora, a condurre lo spettatore fino all'agognato finale (o meglio a un nuovo inizio). Come vuole il mondo delle serie Tv, di cui The Maze Runner è un chiaro fratellastro, il primato è dello storytelling e di un mondo di soggettisti e sceneggiatori, ancora una volta.