Da una parte il bianco contrabbandiere di Di Caprio, dall'altra il pescatore nero di Djimon Hounsou, ficcati nel cuore di una guerra civile, scatenata e mantenuta viva dagli interessi di commercianti di diamanti senza scrupoli. L'impianto della sceneggiatura è tradizionale: il percorso compiuto dal protagonista lo porterà a una nuova consapevolezza. Se The Constant Gardener denunciava gli abusi delle multinazionali farmaceutiche ai danni della popolazione africana, Blood Diamond punta il dito contro l'industria dei diamanti e i commerci illegali che finanzia(ro)no guerre civili in cui vengono impiegati bambini soldati e violati i diritti umani. Zwick coniuga la denuncia sociale con il cinema di genere (action), la meditazione dell'autore su soggetti gravi e urgenti con la tecnologia decisamente esibita di Hollywood. E a questo proposito non sfugga la dimensione critica e intellettuale del film, che mentre fa spettacolo e produce azione invita alla meditazione e alla responsabilizzazione del consumatore (di diamanti). Blood Diamond è un film di recitazione, fatto anche di prove d'attore: quella vitale di Djimon Hounsou, che non nasce eroe ma lo diventa di fronte a circostanze estreme e drammatiche e quella ambigua di Leonardo Di Caprio, condannato da Scorsese a incarnare il bene e il male, a cercare la redenzione e il riscatto. Perduto l'aspetto efebico e raggiunta la definizione sessuale, Di Caprio costruisce un personaggio di luci e ombre, un cattivo che compie azioni buone al "tramonto" della vita.