Perfect Day (2015)

Scritto da carlo il 28 dicembre, 2015

Capita spesso al cinema che la guerra raccontata in forma di commedia colpisca più nel profondo: lo conferma questo film spagnolo presentato (e applaudito) alla Quinzaine di Cannes e uscito nelle sale italiane senza troppi clamori. Va subito detto, però, che ‘Perfect day’ non si inserisce nel filone della comicità caustica di opera come ‘Essere o non essere’ o ‘M.A.S.H.’, bensì è caratterizzato da un’ironia amarognola che vira sovente al nero e che, comunque, raggiunge alla perfezione lo scopo di risvegliare la memoria del conflitto dimenticato (o rimosso) dagli europei, ovvero quella dei Balcani: un bagno di sangue incattivito dalle atrocità che solo una guerra civile sa originare e che de Aranoa più che mostrare fa scorgere sullo sfondo di un mondo preda di odî profondi ancora quando la pace sta per arrivare. E’ infatti nell’imminenza degli accordi di Dayton che si svolge la vicenda di alcuni operatori umanitari impegnati ad aiutare la popolazione locale: nello specifico, l’unico pozzo praticabile per chilometri corre il rischio di essere reso inutilizzabile dal cadavere che vi è stato gettato, ma nessuno ha una corda per tirarlo su. Così inizia un viaggio su strade bianche o del tutto inutilizzate che attraversano colline brulle e poco amichevoli fin dall’aspetto (le riprese sono state effettuate tutte in Spagna e la fotografia di Alex Catalán dà a queste traversate un tocco western) ma gli esseri umani sono ben peggio: dal negoziante che è di un’altra etnia perciò nisba al difensore dell’avamposto perduto che – a mezza via tra ‘Il deserto dei Tartari’ e il barile di benzina delle Sturmtruppen - non ammaina la bandiera per finire agli stolidi Caschi Blu che ondeggiano tra inettitudine e pura stupidità militare. L’incontro con un bambino senza famiglia (Eldar Residovic) pare condurre i protagonisti verso una soluzione, invece offre loro solo le prove più terribili e amare: l’ultimo sorriso viene regalato dall’ironia della sorte, ma solo allo spettatore, in un bellissimo finale sotto la pioggia. Se la trama è esile e ricca di deviazioni, la scrittura dello stesso regista – che ha tratto la storia da un romanzo di Paula Farias – mantiene la presa su chi guarda alternando con abilità i momenti più leggeri a quelli tristi grazie anche a un bel lavoro sui personaggi che discutono tantissimo fra di loro, ma quasi solo con frasi di poche parole e, soprattutto, evitando qualsiasi sproloquio o pistolotto morale: le cose stanno così, ma, se non abbiamo la forza per cambiarle, facciamo quel poco o tanto che possiamo – fosse persino svuotare una latrina. E’ questa la lezione che impara l’ultima arrivata Sophie (Mélanie Thierry) al seguito della sperimentata coppia costituita dallo statunitense B (Tim Robbins) e dal portoricano Mambrù (Benicio del Toro): il primo, con un look da hippy invecchiato, ha il compito di inserire la nota comica, mentre il secondo, con il suo burbero fascino e l’abitudine a muoversi sottotraccia, dà in un certo senso il ritmo all’intera azione. Mambrù è uomo tutto meno che irreprensibile – e il doverlo mostrare giustifica il personaggio di Katya (Olga Kurilenko), di gran lunga il meno essenziale del gruppo – ma non è importante visto il luogo e il momento: la tormentata notte trascorsa su una jeep tutti assieme per paura delle mine (che ancor oggi sono tantissime nella ex Jugoslavia) finisce per ripristinare gli equilibri. In simile contesto, il cast internazionale funziona bene in modo sorprendente e regala un valore aggiunto, ma è almeno da citare la figura dell’interprete (Fedja Stukan), stretto tra il desiderio di collaborare e i pericoli a cui espone sè e i propri conoscenti. A completare un film che, pur non esente da qualche difetto, sa farsi apprezzare pienamente, una colonna sonora spiazzante, ma efficace a sottolineare la tensione del racconto seppur tenuta solo sullo sfondo: il punk, dagli X ai Ramones, oppure i Gogol’ Bordello non escono sparati dalle casse ma si limitano ad accompagnare le immagini, mentre There Is No Way di Lou Reed sui titoli di coda regala un’ultima, rabbiosa pennellata (no, sebbene prima si ascolti pure Venus In Furs, Perfect Day la canzone non c’è).