Inside Out (2015)

Scritto da carlo il 7 ottobre, 2015

Quando i personaggi passano per la zona riservata all’astrazione e, per l’appunto, si astraggono in un consecutivo perdere di dimensioni, la domanda sorge spontanea: i bambini si divertono? A una breve occhiata, quelli che affollano numerosi la sala risponderebbero di sì, a parte i più piccoli impegnati a tempestare di domande i genitori: perciò può dirsi riuscita la scommessa della Pixar di creare una storia avvincente utilizzando strumenti concettuali complessi. Sulla base di uno svolgimento classico fatto di smarrimento e rilancio e corredato dall’immancabile corsa contro il tempo, i registi, assieme al nutrito gruppo di scrittori che ha collaborato alla sceneggiatura, assemblano un’avventura ambientata nel cervello di una ragazzina, descrivendo le interazioni fra pensiero, ricordi ed emozioni: i più giovani si divertono e sobbalzano al ritmo senza sbavature e gli adulti vengono solleticati da aspetti che vanno ben oltre le semplici battute che strizzino loro l’occhio. Il risultato è uno dei più bei lungometraggi della casa che non solo recupera la qualità un po’ appannata negli ultimi anni, ma, se non li raggiunge, si avvicina molto ai livelli del superlativo Wall-E: forse il divertimento non sarà scatenato, ma le doti di equilibrio e fantasia del film sono davvero rimarchevoli. Nella mente della piccola Riley ai comandi c’è Gioia sin dalla nascita, ma fondamentali per l’equilibrio interno sono Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia: il trasferimento della famiglia dal Minnesota alla California scombussola però le certezze e, mentre Gioia e Tristezza vengono sbalzate fuori per errore dal Quartier Generale, Riley vede il suo mondo crollare un pezzo alla volta sotto il comando delle rimanenti emozioni. Il percorso di rientro delle due disperse non sarà facile, ma, con l’aiuto dell’Amico Immaginario nel ruolo di Virgilio, infine l’impresa riesce rimediando ai guai solo all’ultimo tuffo come di prammatica: raccontata in un modo simile, la vicenda non sembra tutto questo granchè, ma mai come in questo caso è importante la realizzazione, caratterizzata da un’accurata cura dei dettagli. Il disegno delle figure è molto arrotondato mentre i colori sono squillanti nella testa di Riley e più opachi nella realtà: se quest’ultima mette in scena un gelido Minnesota, ma soprattutto una San Francisco ben più cupa di quanto siamo abituati a immaginarla, la prima ha consentito di sbrigliare la fantasia, dalle emozioni create a partire da una forma (Gioia è una stella, Tristezza una lascrima e così via) ai ricordi racchiusi in globi, colorati a seconda delle sensazioni che vi sono collegate, che vengono archiviati in librerie che riprendono la forma delle sinapsi, dalle fantasmagoriche ma fragili isole della personalità alle inquietanti ombre dell’inconscio per giungere infine alla lenta modifica del peso specifico delle singole emozioni che avviene mentre Riley cresce. Inseguendo queste – e le molte altre – invenzioni il tempo scorre senza accorgersene, perché si è impegnati a cogliere ammiccamenti, spunti e citazioni (di altri film Pixar, ma anche ‘Chinatown’) che sono sparsi a piene mani e, al contempo, a seguire la comunque appassionante narrazione che, se non strappa troppe risate, fa sorridere spesso e volentieri: l’umorismo rispetta i toni delicati dell’insieme mollando i freni solo nella rappresentazione dei Quartier Generali dei personaggi minori (da non perder, in proposito, i titoli di coda).